Lo show sulla miseria

Puntuale cresce l’urlo dei faccendieri di ogni contrada sullo sbarco degli immigrati nell’unica isola mondiale (sempre a sentire lor signori delle faccende proprie, naturalmente!) costretta ad accoglierli e a mantenerli (sempre a sentire lor signori ricchi cattolici, tutti educati a Dio, patria e famiglia). L’unica isola che è costretta ad accogliere miserabili dai paesi di quel continente che ha fornito schiavi per secoli ai grandi paesi della democrazia, della ricchezza, della libertà e della felicità, valori esclusivamente propri, beninteso. Si sente nel profondo l’urlo recentissimo di autorità locali disperate, che piangono fragorosamente sui danni alla pesca locale e all’ambiente e non tanto sull’incremento demografico stabile sull’isola. D’altra parte, è comprensibile, suvvia: come si può non commuoversi su questo dolore di perdita di pesca per qualche giorno? Come si può non commuoversi sul dolore dei danni all’ambiente e al mare, quando il mare serve a far navigare enormi mostruosi navi da crociera che scaricano di tutto nel bel mare sporcato dai barchini degli immigrati. Per non parlare del danno che tali barchini di miserabili recano alla vista dei passeggeri degli yacht. Un dubbio e un paio di domande, tuttavia, salgono: 1) questi sbarchi si ripetono da almeno venti anni su tale isola, come è possibile sostenere una popolazione stabile di così alto numero per un’isola così piccola? Non ditemi che poi questi immigrati miserabili se ne vanno poi da altre parti! Allora, i miserabili se ne vanno dopo qualche tempo? Allora, questi miserabili svolgono le identiche azioni dei grandi passeggeri degli yacht! Certo, con la differenza non trascurabile che ai miserabili bisogna fornire il cibo (certamente e in ogni non a spese dei pescatori dell’isola!), mentre i passeggeri degli yacht pagano bene chi li accoglie. Non è materialmente possibile sostenere un tale numero di residenti stabili a non fare nulla, suvvia! 2) Se i miserabili non restano, ma dove vanno? Difficile rispondere: in ogni caso non è difficile fare ipotesi. Qualche ipotesi si può azzardare. Spesso gli immigrati vanno a fare lavori umili e pagati a cibo e a poco denaro, oppure a fare lavori faticosi e pericolosi che nessun cittadino locale penserebbe di fare: ad esempio, andare in tanti uomini, tutti ammucchiati sui camion dalla mattina presto alla sera per raccogliere i pomodori in grandi, estesi orti nel breve periodo della maturazione. Ecco, in quest’ultimo caso fa molto comodo avere a disposizione manodopera numerosa, docile, senza tessera sindacale e pagata poco, vero? Non si è mai letto da nessuna parte, non si sono mai sentite autorità locali del grande nord lamentarsi della vista di questi camion pieni di uomini tutti pezzenti. Vero? Allora, in conclusione non dovrebbe essere così difficile trovare soluzioni umanamente virtuose e soprattutto intelligenti per impiegare manodopera legalmente, seppur modestamente retribuita al primo impiego. Non dovrebbe essere difficile trovare lavoro per attività sparse in zone carenti di manodopera: non è vero che manca lavoro dappertutto e per ogni tipo di lavoro. Queste tipologie di impiego di manodopera e queste procedure di gestione del lavoro possono essere praticate ovunque: non parliamo delle glorie e delle positività del mondo globale, quando poi ci comportiamo diversamente con i portatori di lavoro soltanto per i mezzi e i metodi di spostamento. No! In certi paesi sottosviluppati politicamente questo è impossibile per la semplice ragione certi drammi fanno molto comodo per la campagna elettorale continua, fanno comodo per urlare stupidaggini sulle spiagge e sui campi verdi pieni di magliette e souvenir e panini al prosciutto. I veri miserabili stanno da altre parti, non stanno sui barchini ad attraversare mari e oceani. Sono questi i miserabili, sono i miserabili che nominano Dio per i propri voti. Hanno tutte le ragioni del mondo i nostri giovani più vogliosi di normalità, di opportunità e di serietà, diciamo pure più talentuosi ad andarsene fuori all’estero.

Vanni Savazzi weblog