Uno sguardo dal ponte delle autonomie

Questa è una storia sul tema della qualità della politica nella amministrazione dello Stato, non tanto e non semplicemente sulla capacità di riformare e innovare il sistema della Amministrazione pubblica. La storia narra di un progetto di Riforma delle vigenti norme su erogazione, gestione, fornitura e suddivisione/gestione dei costi dei servizi ai cittadini da parte dello Stato e delle amministrazioni locali. Da circa 22 anni ad oggi, idee di riforma in merito sono state abbozzate da tutte le parti politiche, che si sono succedute al Governo, dalle coalizioni di Centro-Sinistra e dalle coalizioni Centro-Destra. Tutte le bozze di riforma, fino a quella attuale, presentavano e mantengono aspetti condivisibili e molto interessanti. In ogni caso, tutti questi tentativi e tutti questi disegni di riforma hanno mantenuto e mantengono lo stesso fondamentale difetto: la mancanza del disegno tecnicamente praticabile in tutti i passaggi e coerente con i princìpi di fondo della riforma del motore di funzionamento del sistema di erogazione e gestione di tali servizi ai cittadini di tutto il Paese. In altre parole, tutte le proposte, i cui contenuti restano in ogni caso importanti e innovativi, hanno trascurato di scrivere in modo chiaro e netto a quali Enti pubblici spetta erogare quali servizi e a quali costi e, soprattutto, a chi spetta pagare cosa e da quali fonti attingere le risorse per pagare. Non è cosa di secondo ordine e da valutare in tempi successivi. Allora qualche dubbio ritorna a farsi notare: a chi e a cosa serve decidere di portare alla approvazione di corsa un testo di riforma con un pezzo mancante? A una domanda che parrebbe complessa, la risposta diventa persino banale: a) costruire un motore di funzionamento che garantisca efficienza e risultati coerente non è semplice e richiede competenze elevate, che questa classe politica di qualsiasi schieramento non dimostra e non ha dimostrato di possedere in questo secolo; b) ciò che è prioritario per questa classe politica non è il funzionamento di una riforma, è l’effetto delle parole, è l’effetto immediato della “proprietà della norma approvata”, del “questo l’abbiamo fatto noi”, che il pubblico votante percepisce immediatamente, poi del futuro non interessa a nessuno; c) in questo modo, con una riforma che appare semplicemente, che produce effetti ciascuno può dire quello che vuole in qualsiasi piazza o vicolo in qualsiasi paese del Paese e del mondo pur di raccogliere consensi. Quel ciascuno non può che essere un soggetto politico di qualsiasi parte: da chi è al potere per farsi notare quale decisore protagonista, da chi è all’opposizione per mostrare incapacità e falsità di quello che stanno dicendo i decisori al potere. In ogni caso, c’è un evidente fattore che unisce la classe politica di qualsiasi orientamento: la volontà di dividere per schieramenti il difficile e complicato sforzo, che richiede una importante riforma. Per una riforma seria servono competenze indipendentemente dalla contrada ideologica, sullo stesso modello del secondo dopoguerra. Le piccole contrade nemiche generano scontri inutili e la bassa qualità di azioni e risultati. Poi le norme di secondo piano, i particolari percorsi debbono per forza appartenere alle contrade politiche. Per le riforme sui servizi e sui settori fondamentali (sanità, formazione, lavoro e sviluppo) in un mondo globale e complesso servono comunità di competenze delle democrazie per produrre benessere per tutti.

Vanni Savazzi weblog