Liturgia della protesta

Come di consueto, di fronte ad un frammento di intervento normativo della Amministrazione pubblica sulla scuola si mette in scena lo stesso copione liturgico (salvo qualche variazione terminologica e scenografica) della protesta in piazza. Il copione ormai trentennale è scritto dalle confederazioni che dovrebbero rappresentare l’interesse dei lavoratori a valorizzare la formazione e il miglioramento della professionalità e della carriera. Dall’altra parte, l’Amministrazione pubblica ha fatto di tutto, o quasi, per non cambiare quasi nulla in tema di politiche scolastiche: reclutamento e miglioramento della professionalità del personale che insegna e lavora nella scuola, organizzazione amministrativa, materie e metodi di insegnamento, strutture, infrastrutture e condizioni dei luoghi in cui si insegna, degli ambienti in cui gli studenti costruiscono il proprio futuro e, soprattutto, dei servizi finalizzati ad accompagnare tutto il percorso formativo degli studenti. La stessa Amministrazione pubblica dagli anni ’60 ad oggi ha impostato e mantenuto le proprie politiche scolastiche per frammenti ogni tanto, senza una coerenza organica nel corso del tempo e spesso in ritardo rispetto ai cambiamenti sociali e ai cambiamenti del mondo del lavoro e delle professioni. Il caso in discussione in questi giorni ricalca la stessa linea, tuttavia alla incapacità di tutte le amministrazioni pubbliche, di qualsiasi orientamento politico corrisponde anche in modo pesante il ruolo delle confederazioni sindacali, che mantengono inalterata la visione arretrata della professionalità del personale della scuola, a partire da chi insegna, una visione di professione piatta e statica, immobile sotto tutti i punti di vista, di una professionalità semplicemente tecnica, senza mutamenti e miglioramenti, senza alcuna traccia di sviluppo e di diversificazione per la molteplicità di richieste che i cambiamenti culturali, i cambiamenti globali di società complesse, i cambiamenti delle domande delle nuove generazioni pongono. Per affrontare le incapacità delle politiche non bastano le adunate nella solita piazza con gli slogan sempre uguali scritte sulle bandierine: servono idee nuove, servono sfide di idee, servono sfide su proposte di cambiamento e di innovazione concrete, realizzabili in una visione sempre più alta di professionalità. Le piccole, misere idee immutabili delle rappresentanze del personale della scuola non fanno altro che peggiorare il peggio.

Vanni Savazzi weblog