Consigli liberi..scelte libere?

Come è arcinoto Il Ministero Istruzione ha stabilito la didattica a distanza nel periodo di scuole chiuse che perdura da metà febbraio e probabilmente si protrarrà fino a giugno e forse anche alla ripresa delle lezioni a settembre. Alla disposizione della didattica a distanza hanno fatto seguito le indicazioni di leggere e seguire le molteplici esperienze di didattica a distanza e di sperimentazioni didattiche sul sito dell’INDIRE e anche il consiglio di utilizzare la piattaforma di Google Classroom e altre risorse digitali sempre su Google. La domanda abbastanza immediatamente sorta è piuttosto semplice: “perché questo consiglio alle scuole di accedere a una piattaforma privata ad uso pubblico gratuito di una proprietà che ha scopi commerciali, senza ombre di dubbio alcuna?” e di seguito ..”perché nemmeno un cenno per piattaforme altamente molto più professionali, dinamiche, interrelate e ricche di risorse di natura open-source, utilizzate soprattutto in ambienti universitari del tutto gratuite con marchio registrato ma senza scopi commerciali, quale Moodle ad esempio? Piattaforma come Moodle e anche diverse altre che possono essere scaricate gratuitamente, arricchite continuamente da risorse esterne – i plugin – sempre gratuiti e hanno il grande vantaggio di restare tuttavia sempre di proprietà della scuola, perché nemmeno un cenno di esistenza?” Certamente non voglio nemmeno pensare che il Ministero abbia agito nascondendo interessi, questo no e sono certo pure che non è così. Tuttavia Google, alla pari di altri..ovviamente, non investe risorse per beneficienza, investe e continua ad investire non per questo, bensì per trarne benefici economici: vedi la pubblicità che insistentemente ricorre in tutte le pagine, siti che noi stessi incontriamo in siti e pagine web. Inutile dire chi saranno poi i destinatari – a lungo termine – di messaggi pubblicitari, che andranno a incrementare i numeri che Google dimostrerà ai suoi clienti. Questo è tutto lecito e comprensibile, ma è meno comprensibile per altri motivi. Tuttavia, non ritengo questo un dato di scandalo, tutto legittimo e accettabile. Ciò che trovo meno spiegabile è ben altra cosa. Ecco un’altra domanda un po’ più fastidiosa: perché una grandissimo numero di scuole e di docenti hanno accolto quasi immediatamente questa opportunità, abbandonando di netto l’idea di prendere in considerazione l’utilizzo di piattaforme e-learning open-source, libere di fatto e senza scopi commerciali, che permettono di scaricare la piattaforma e di utilizzarla gratuitamente e soprattutto di poterla sviluppare in tanti percorsi? Ecco le ipotesi che si possono fare sono diverse e tutte molto vaghe senza alcun dato certo: 1) è bene seguire il consiglio dei “capi”; 2) è più facile (pura immaginazione, se si utilizzano sempre le stesse cosse tradizionali, senza fare nulla di innovativo e tantomeno creativo; 3) l’idea di piattaforme molto flessibili ed estendibili implica lavoro di aggiornamento e di pratica costanti e che in fondo sono tutte uguali. Credo che ci sia un po’ tutto questo, ma la probabilità che abbia agito la convinzione della ipotesi n.3 imbarazza e preoccupa molto. Preoccupa ancora più gravemente e profondamente l’idea che nessuno abbia pensato che più o meno involontariamente i nostri studenti sono coinvolti fin da ragazzi ai meccanismi di merchandising.

Vanni Savazzi weblog